Sherlock Magazine vi propone oggi una lunga intervista con Luigi Siviero, narratore, saggista e traduttore nel segno di Sherlock Holmes.

In che modo hai iniziato a interessarti a Sherlock Holmes? È una passione che affonda le radici nel passato oppure è nata di recente?

La passione per Sherlock Holmes non mi ha accompagnato per tutta la vita, anzi. Ricordo che da piccolo avevo visto una versione in bianco e nero del Segno dei quattro ed ero rimasto terrorizzato dal nano orientale che sparava dardi avvelenati con la cerbottana. Sempre ai tempi delle elementari c’è stato un incontro estemporaneo con il detective nel romanzo La guerra dei mondi di Sherlock Holmes, ma dovevano passare anni prima che diventassi un lettore forte e macinassi un discreto numero di romanzi gialli.

Più tardi, quando ero dodicenne, ho divorato i libri di Agatha Christie, e l’unico giallo letto a quel tempo al di fuori dei romanzi della scrittrice inglese è stato Il nome della rosa di Umberto Eco. Con il passaggio all’adolescenza e all’età adulta Georges Simenon, con il suo commissario Maigret, ha sostituito la Christie come mio “giallista” preferito. Non mi sono limitato certo a Simenon: ho letto Leonardo Sciascia, Friedrich Dürrenmatt, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, James Ellroy, Giorgio Scerbanenco, il Nestor Burma a fumetti di Jacques Tardi, e così via… E anche qualcosina di Arthur Conan Doyle: i quattro romanzi e Le avventure di Sherlock Holmes.

Ho letto in modo sistematico tutte le storie del detective londinese scritte da Doyle solo quando ho oltrepassato i trent’anni, e successivamente ho aggiunto alle mie letture vari classici come La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer, Uno studio in nero di Ellery Queen e Le imprese di Sherlock Holmes di Adrian Conan Doyle e John Dickson Carr.

A cosa ti è servita la lettura sistematica delle opere di Arthur Conan Doyle?

Fra il 2010 e il 2012 ho scritto un libro su Dylan Dog nel quale Sherlock Holmes ha ampio spazio, al punto che è nominato nel titolo: Dylan Dog e Sherlock Holmes. Indagare l’incubo, pubblicato da NPE. Siccome negli episodi di Dylan Dog sceneggiati da Tiziano Sclavi c’erano non pochi riferimenti a Sherlock Holmes, ho letto tutte le opere di Doyle sia per assicurarmi di individuarli tutti sia per capire per quale motivo fossero presenti. In sostanza il mio scopo era comprendere che tipo di personaggio fosse Sherlock Holmes e che tipo di filosofia ci fosse dietro alle sue storie, per poi valutare in che modo quel personaggio e quella filosofia fossero confluiti in Dylan Dog.

Sherlock Holmes è espressione del positivismo ottocentesco, della fiducia di poter comprendere la natura in modo preciso e definitivo e di poter fare deduzioni assolutamente certe. Il personaggio di Sclavi invece è figlio del relativismo: dell’indeterminazione in fisica espressa in forma di romanzo giallo da Dürrenmatt, ma anche della critica di Thomas Sebeok al metodo di Sherlock Holmes esposta nel saggio Il segno dei tre. I riferimenti a Sherlock Holmes nei fumetti di Dylan Dog servono a Sclavi per caratterizzare il suo personaggio e le sue storie come antitetici al positivismo.

Successivamente hai scritto un libro incentrato interamente sui fumetti sherlockiani. Di cosa si tratta?

Questo saggio si intitola Sherlock Holmes. L’avventura nei fumetti. È stato pubblicato da ProGlo – Prospettiva Globale nel 2016. Per scrivere questo libro sono andato a caccia di tutti (tranne quelli che mi sono sfuggiti!) i fumetti con riferimenti a Sherlock Holmes. Si è trattato più di un lavoro di ricerca e catalogazione e meno di ragionamento, a differenza del saggio precedente.

Trovare i fumetti è stato divertente, entusiasmante e anche un po’ stressante. Ho assaporato il piacere della caccia simil-collezionistica. Dico “simil-” perché non sono particolarmente interessato al collezionismo, e mi sono accontentato (non per questo senza grande soddisfazione!) di mezzi di fortuna. Per esempio ho trovato tantissime strisce apparse sui quotidiani americani, in molti casi mai ristampate, grazie all’idea di usare il motore di ricerca Google Newspapers (e usando come base di partenza un elenco di fumetti sherlockiani compilato da Ronald Burt De Waal e George Vanderburgh), che permette di consultare integralmente annate e annate dei vecchi giornali. 

Trovare il modo migliore di mettere assieme tutto il materiale sherlockiano raccolto durante lunghe ricerche non è stato per niente semplice. In un primo momento avevo pensato di dividere il libro in varie aree tematiche. Per esempio volevo prendere tutti gli adattamenti di un certo romanzo di Doyle e mostrare in che modo differivano l’uno dall’altro e come erano evoluti nel tempo, oppure ripercorrere il modo in cui era stata riproposta nel tempo una certa parodia. Sono studi possibili da compiere, e probabilmente darebbero risultati interessanti, ma mal si adattavano alla pretesa di sistematicità e completezza del mio libro. Se avessi accettato un’impostazione del genere, sarebbe stato parecchio difficile, se non impossibile incastrare tutti ma proprio tutti i fumetti con riferimenti sherlockiani.

Io invece volevo creare un libro che non fosse un mero catalogo e allo stesso tempo dargli una struttura che permettesse di incasellare facilmente qualsiasi fumetto sherlockiano esistente. Così ho preferito impostare il libro come una sorta di storia del fumetto affrontata dal punto di vista di Sherlock Holmes anziché dei fumetti ritenuti tradizionalmente i capisaldi. Ne è nata una storia del fumetto americano un po’ sghemba, incentrata com’era su fumetti che spesso erano di secondo piano, e infarcita di liste di fumetti sherlockiani. Quel libro è il frutto di una piccola ossessione.

Di recente hai studiato Sherlock Holmes in un nuovo saggio. Come è nato il tuo contributo a The Stories They Are A’Changin’?

The Stories They Are A’Changin’ è un’antologia di quattro saggi incentrati su Sherlock Holmes, Star Wars, Doctor Who e Star Trek, pubblicata nel 2021 da Resh Stories. I quattro contributi non sono stati accorpati in modo casuale in base al materiale che i saggisti avevano nel cassetto. Il libro è nato invece su impulso dei curatori (David Padovani, Simone Rastelli e Dario Custagliola), che volevano dare alla luce un’opera incentrata sul tema dell’evoluzione dei personaggi di finzione. David Padovani mi ha contattato chiedendomi di scrivere qualcosa su questo preciso argomento, magari occupandomi ancora una volta di Sherlock Holmes, visto che ero già abbastanza ferrato in materia.

Siccome sto scrivendo ormai da quattro anni un libro sulla natura dei personaggi di finzione, ho deciso di mettere a frutto la teoria studiata per quel libro applicandola a Sherlock Holmes e alla sua evoluzione. Mi sono rifatto principalmente a Lector in fabula di Umberto Eco e a un suo articolo del 2009 (On the ontology of fictional characters: A semiotic approach) che funge da importante complemento a quel saggio. Ne è nato un pezzo intitolato Sherlock Holmes tra realtà e finzione.

Il saggio apparso in The Stories They Are A’Changin’ è incentrato sullo Sherlock Holmes letterario oppure hai preso in considerazione ancora una volta i fumetti?

È inevitabile che un saggio sull’evoluzione di Sherlock Holmes abbia il suo baricentro nelle opere di Arthur Conan Doyle, visto che il personaggio è stato creato lì e che quelle storie sono le colonne portanti della caratterizzazione del detective e del suo mondo. Per affrontare il tema dell’evoluzione di Sherlock Holmes è stato d’obbligo determinare innanzitutto quali caratteristiche aveva il personaggio originario, per poi rintracciare come e dove quelle caratteristiche si sono modificate o consolidate nel corso del tempo in seguito agli interventi di altri autori.

Ho preso in considerazione sia opere di narrativa, come i racconti di James M. Barrie e il romanzo La guerra dei mondi di Sherlock Holmes di Manly W. Wellman e Wade Wellman, sia alcuni fumetti.

Una delle linee evolutive di Sherlock Holmes, presente fin dalle opere di Arthur Conan Doyle e portata all’estremo già da James M. Barrie nell’Ottocento e poi da tanti altri, riguarda la natura stessa del personaggio, che per gioco si vuole fare credere realmente esistito. Gli autori che accolgono questa impostazione considerano Arthur Conan Doyle un mero agente letterario (o simile) del Dottor Watson, ritenuto invece il vero e reale autore delle avventure di Sherlock Holmes. In questo solco si colloca un doppio episodio della serie «Martin Mystère» scritto da Carlo Recagno e disegnato da Franco Devescovi (Aria di Baker Street sul n. 129 e I mondi impossibili di Sherlock Holmes sul n. 130), nel quale Martin Mystère scopre che Sherlock Holmes non è un semplice personaggio letterario, bensì un detective realmente esistito.

Ho preso in considerazione molti altri fumetti sherlokiani in relazione a un’altra importante linea evolutiva del personaggio, cioè il suo aspetto. Cappello deerstalker, mantellina, lente d’ingrandimento e pipa sono infatti delle caratteristiche universalmente note del personaggio. Oltre ad avere spiegato come sono nate queste caratteristiche, ho parlato di come sono state assimilate nei fumetti americani, che fin dagli albori delle strisce pubblicate sui quotidiani pullulano di parodie del detective.

Dopo il libro pubblicato da Resh Stories hai intenzione di scrivere altri saggi su Sherlock Holmes?

Nel periodo in cui ho scritto Sherlock Holmes tra realtà e finzione per The Stories They Are A’Changin’, ho anche tradotto quattro racconti d'epoca di cui mi sono occupato in quel saggio. La pubblicazione dei primi due racconti, avvenuta su Sherlock Magazine n. 51, è stata accompagnata da delle note introduttive in cui ho messo in luce la loro importanza storica (dal punto di vista sherlockiano). Anche gli altri due racconti saranno pubblicati prossimamente su Sherlock Magazine con delle note introduttive.

I quattro racconti (di cui tre scritti da James M. Barrie, creatore di Peter Pan, e uno da un autore anonimo) sono dei divertissement nei quali la linea di demarcazione che separa la finzione dalla realtà si fa sfumata e incerta. Nelle mie note introduttive, come già avevo fatto nel saggio pubblicato in The Stories They Are A'Changin', ho evidenziato questo aspetto e ho spiegato in che modo quelle storie hanno contribuito ad accrescere il mito di Sherlock Holmes.

Oltre a questi quattro racconti hai tradotto qualcos'altro?

L'esperienza di tradurre dei racconti, seppure brevi, mi è piaciuta, e così ho provato a rendere in italiano le storie, sempre con protagonista Sherlock Holmes, di due scrittori contemporanei, James Moffett e Thomas A. Turley.

Di Moffett ho tradotto una raccolta di otto racconti intitolata The Trials of Sherlock Holmes. Si tratta di storie che per lunghezza, ambientazioni e stile ricordano i racconti classici di Arthur Conan Doyle. La grossa differenza rispetto a quelli di quest'ultimo è che i racconti di Moffett sono uniti da un filo conduttore di carattere narrativo: sebbene di volta in volta Sherlock Holmes risolva un singolo mistero, bisogna attendere il racconto conclusivo per scoprire l'identità del nemico che trama nell'ombra in tutte le storie.

Per quanto riguarda Thomas A. Turley ho tradotto Sherlock Holmes and the Crowned Heads of Europe, una raccolta di quattro racconti piuttosto lunghi nei quali l'investigatore di Baker Street viene assunto da alcune delle teste coronate più note e importanti dell'epoca. Sherlock Holmes è calato in ambientazioni ed eventi realmente accaduti, e la sua presenza è integrata alla perfezione in quadri storicamente accurati. Non si è in presenza di uno sfondo realistico su cui è ricamata una storia fantasiosa, bensì di una ricostruzione storica nella quale il detective è incastrato alla perfezione. Avendo voluto Turley ricostruire in modo certosino i fatti storici, l’inserimento di Holmes era difficile e delicato, perché gli accadimenti erano già prefissati e quindi c’era pochissimo margine di manovra. La bontà delle ricostruzioni storiche, la capacità di collocare Holmes in modo coerente e naturale nella cornice storica e la raffinatezza della scrittura rendono i racconti di Turley dei gioiellini.

Ciascun racconto di Moffett e Turley è in corso di pubblicazione come singolo libro digitale nella collana Sherlockiana della Delos. Al momento sono usciti cinque racconti di James Moffett intitolati Sherlock Holmes e l’impiccato, Sherlock Holmes e il diamante di legno, Sherlock Holmes e l’intruso nocivo, Sherlock Holmes e lo scandalo Bloomsbury e Sherlock Holmes e la superbia del persecutore. Le storie di Turley arriveranno in seguito.

Tu stesso hai scritto qualche racconto con protagonista Sherlock Holmes. Come sono nati i romanzi di dieci parole?

I “romanzi di dieci parole” sono racconti formati esattamente da dieci parole, non una di più e non una di meno. Ne ho scritti un sacco tempo addietro, quando mi divertivo a fare esperimenti di tutti i tipi con le parole: tautogrammi, haiku, finte lettere e così via…

Qualunque testo, anche il più semplice, deve per forza di cose essere aperto. È impossibile che abbia in sé stesso tutti gli elementi che ne consentono la comprensione. Anche solo le regole grammaticali più elementari sono degli elementi esterni al testo a cui bisogna attingere per farsi un’idea di cosa c’è scritto; perfino le singole lettere, con la loro forma e il rinvio a un determinato suono, rispondono a convenzioni extratestuali. Ci sono molti altri rimandi extratestuali che è possibile inserire se si è autori o individuare se si è interpreti. Per esempio scrivendo “Sherlock Holmes” si fa riferimento a un detective fittizio vissuto al 221b di Baker Street, amico del Dottor Watson, fumatore della pipa e della sigaretta, abile nei travestimenti, fratello di Mycroft, e via dicendo, e ci si aspetta che il lettore di “Sherlock Holmes” attinga a tutte quelle informazioni e a molte altre. Due sole parole possono richiamare un intero mondo.

Questa apparente divagazione mi serve per evidenziare una caratteristica dei testi che può essere sfruttata quando si scrivono i romanzi di dieci parole, e che infatti ho sfruttato quando ho scritto i miei romanzi di dieci parole con protagonista Sherlock Holmes.

Quando si hanno a disposizione solo dieci parole si può benissimo riuscire a comporre un racconto di senso compiuto che si regga da solo, cioè che contenga una quantità minima e basilare di riferimenti extratestuali. Tuttavia è anche possibile giocare con il non detto. In questo secondo caso si può attingere a personaggi, situazioni e mondi descritti e caratterizzati altrove, e contare sul fatto che il lettore individui i rimandi e li usi per riempire di senso il romanzo di dieci parole. Ovviamente un racconto strutturato in questo modo diventa criptico per chi non conosce o non afferra il non detto.

I miei romanzi di dieci parole dedicati a Sherlock Holmes sono costruiti proprio in questo modo. Hanno alle spalle il mondo di finzione creato da Doyle, ma anche opere non solo sherlockiane di altri autori. Secondo me i rimandi di questo tipo non sono una debolezza. Vedo quei racconti come delle variazioni sul tema, come nuove versioni che un musicista prova a proporre di un pezzo classico. Rintracciare le fonti, e capire come sono state utilizzate per ottenere i pezzi nuovi, fa parte del piacere della lettura. Trovo anche che i racconti così strutturati non siano “incompleti”: proprio l’aura esoterica derivante dalla carenza di informazioni immediate ed esplicite dà fascino a quelle storie. O almeno spero…

Comunque, per facilitare la procedura interpretativa, in un secondo momento ho scritto dei testi di accompagnamento con i quali ho spiegato quali erano le fonti e come le ho utilizzate per dare vita ai racconti.

Hai scritto anche dei racconti più lunghi, magari più tradizionali?

Ho scritto due racconti più lunghi dei romanzi di dieci parole, ma non certo tradizionali. I titoli dei due racconti, che si assomigliano, sono L’avventura delle fate di Cottingley e Rivelazioni sulla morte di Sherlock Holmes. Il primo è apparso originariamente qualche anno fa in un’antologia di racconti fantasy e successivamente è stato finalista del Concorso Multiverso; il secondo è stato pubblicato in digitale nella collana Sherlockiana della Delos.

I due racconti si assomigliano per due motivi. Innanzitutto sono composti entrambi da finti documenti d’epoca: ne L’avventura delle fate di Cottingley ci sono degli estratti dai diari del Dottor Watson e di Sherlock Holmes e altri documenti; Rivelazioni sulla morte di Sherlock Holmes è formato invece da una serie di missive inviate da Arthur Conan Doyle al Dottor Watson.

In secondo luogo i due racconti sono giocati sulla labilità della distinzione fra realtà e finzione. Del resto questa caratteristica è intuibile anche solo dal fatto che si tratta di racconti di finzione scritti in forma di finti documenti d’epoca.

Una piccola differenza fra i due racconti riguarda la scintilla che mi ha spinto a scriverli. L’avventura delle fate di Cottingley, è ovvio dal titolo, è basato su un fatto realmente accaduto. Nel 1917 due cugine di Cottingley fecero circolare alcune fotografie nelle quali comparivano delle fate. Si trattava di uno scherzo, ma Arthur Conan Doyle, spiritista convinto, intervenne nel dibattito sulla veridicità delle foto sostenendo che erano autentiche. Invece Rivelazioni sulla morte di Sherlock Holmes offre un nuovo punto di vista sulla presunta morte di Sherlock Holmes alle Cascate di Reichenbach, raccontata da Doyle ne Il problema finale. In questo caso lo spunto proviene da un racconto di finzione.

Non c’è altro?

Sì! Ci sono anche i fumetti di Daryl Dark della Cagliostro ePress. Se Dylan Dog era nato come un'antitesi di Sherlock Holmes, Daryl Dark è invece una sorta di commistione tra questi due personaggi. Da un lato è il trisnipote del detective inventato da Doyle, ma dall'altro lato svolge la professione di detective dell'occulto. Oltre ad avere, come Dylan Dog con Groucho, un assistente che ha il nome e le fattezze di un vecchio attore del cinema muto, condivide il nome con Daryl Zed, una specie di controparte di Dylan Dog apparsa nell'episodio intitolato Caccia alle streghe. Io ho scritto due storie di 24 pagine ciascuna, entrambe disegnate da Simone Michelini. Siccome Daryl Dark è il trisnipote di Sherlock Holmes, mi sono divertito a inserire vari riferimenti sherlockiani nel primo episodio, ambientato in parte nel Museo Sherlock Holmes a Baker Street.

Hai in programma di occuparti ancora di Sherlock Holmes?

Sicuramente tradurrò qualche altro racconto contemporaneo per la collana Sherlockiana della Delos. Uscirà anche Daryl Dark vol. 4 della Cagliostro ePress con una mia storia di 12 pagine. Inoltre mi piacerebbe scrivere un altro racconto lungo. Anzi, in parte è già scritto, ma devo lavorarci su ancora un po’.

Secondo me Sherlock Holmes è il personaggio ideale per affrontare il tema della distinzione e del rapporto fra realtà e finzione. In un lontano futuro mi piacerebbe sviluppare il saggio contenuto in The Stories They Are A’Changin’ e trasformarlo in un libro. Forse sarebbe adatto per ospitare in appendice L’avventura delle fate di Cottingley e Rivelazioni sulla morte di Sherlock Holmes. Ma questa è solo una vaga idea.

È stato divertente anche tradurre i racconti d’epoca e scrivere le note introduttive. Non sarebbe male farlo con altri racconti.