Mi sono accorto di avere citato più volte nei miei articoli Le ombre inquiete di Jean Patrick Manchette, Cargo 2006, ma di non averne mai parlato. Una spiacevole dimenticanza che colmo subito. Parto dalla presentazione in seconda di copertina che ci offre il quadro generale del libro “ Jean Patrick Manchette è famoso al grande pubblico come scrittore di noir, ma riversa altrettanta passione e intelligenza-entrambe contagiosissime- quando scrive con piglio “militante” di romanzo poliziesco, noir e letteratura gialla.

Come un protagonista di un suo romanzo, lo vediamo fare delle vere e proprie scorribande tra i generi e le loro evoluzioni, ricostruire le biografie dei padri fondatori e dei maggiori rappresentanti- da Dashiell Hammett a Raymond Chandler, da Ross Macdonald a James Ellroy; smontare con gran divertimento il metodo di indagine di celebri protagonisti come Hercule Poirot o Miss Marple. Per sconfinare infine dai romanzi al cinema, per giocare tra originali, scritture cinematografiche e rifacimenti, di film in film…”.

Gli interventi vanno dal 1976 al 1995, quasi un ventennio di studio e di lavoro di questo grande (più o meno) scrittore. Un lungo affresco della letteratura poliziesca “ la grande letteratura morale della nostra epoca”. “Un giallo senza morale è come una zuppa che non ti fa leccare i baffi, è sbobba” insiste Manchette e qui ci sarebbe da aprire una bella discussione. Come in moltissimi altri punti del libro, perché l’autore non si limita a osservare e indagare ma partecipa in prima persona e dice la sua senza tanti tentennamenti di sorta. Sui libri, sugli autori, sull’editoria in generale. Sul cambiamento dei tempi “Il giallo dell’epoca d’oro era il lamento della creatura oppressa e il cuore di un mondo senza cuore. Adesso

la creatura oppressa non si lamenta più, incendia i commissari e gambizza gli uomini di Stato”. E, con una rara onestà che lo contraddistingue, ritorna talora sui propri passi, rivede le sue posizioni. Per esempio, su Ross Macdonald prima criticato e poi rivalutato (pag.166/68). E parlando di John MacDonald celebra la grande arte dell’”artigiano” perché “a dispetto delle variazioni infinite, non smette d’imitare stilemi ben noti, e poi è imitando st

ilemi ben noti che ogni tanto firma un capolavoro”. La grande arte dell’artigiano che cura con passione i più piccoli particolari e rende sempre diverso il solito disegno. E così via con altri innumerevoli interventi che fanno discutere e riflettere.

Da leggere.

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it