Si interruppe. Lei capì che non avrebbe aggiunto altro sui suoi soci e l’enigma che riguardava il loro rapporto sarebbe rimasto irrisolto, per quello che lo riguardava. Moropulos... Steppe? Parlava di loro come di pari grado. Perfino Ronnie era deferente nei confronti del signor Steppe e ne aveva un po’ di soggezione. Suo padre stesso non tentava neppure di nascondere il proprio nervosismo in presenza di quell’uomo straordinario. Tuttavia quest’uomo ometteva il “signore”. E non era una bravata, una forma di arroganza per imporre una parità. Era evidente che per lui il signor Steppe era semplicemente “Steppe”. Come avrebbe chiamato suo padre? Non c’era stata occasione di scoprirlo, ma era certa che lo avrebbe chiamato “Merville” e basta.Gli occhi di Sault erano fissi su di lei; il suo sguardo non era offensivo non essendo né ostile né ammirato. Lei provò una ridicola sensazione di approvazione. Era come se lui stesse ammirando Napoli dal mare, o una distesa di narcisi su Les Avants, o le meravigliose colline di Montecatini nella luce blu del tramonto.Non riuscì a guardarlo negli occhi... ma non si sentiva a disagio. L’approvazione di quello sguardo non era umana.Rise, e la sua risata le suonò falsa. Prese un libro dal tavolo.– Siamo appena tornati dall’Italia – disse. – Conoscete l’Italia, signor Sault?– No – rispose lui, prendendo il libro che lei gli porgeva.

– Questo è un bellissimo libro sulla Lombardia e sulla sua storia – spiegò lei. – Forse vi piacerebbe leggerlo?

Lui voltò pigramente le pagine, sorridendole. Non aveva mai visto un uomo sorridere con tanta dolcezza.

– Non so leggere – rispose, con semplicità.

Lei non afferrò subito il concetto e credette che avesse dei problemi alla vista.

– Forse preferite portarvelo a casa?

Lui scosse la testa, restituendole il volume.

– Io non so leggere – disse senza vergogna – e nemmeno scrivere. Non so scrivere parole. Le figure sì, le figure sono facili; qualcuno mi ha detto... era un professore di inglese, credo o comunque dell’università, che era sbalordito dal fatto che io sapessi risolvere i problemi matematici e usare i simboli della trigonometria e dell’algebra senza saper scrivere. Mi piacerebbe saper leggere. Quando passo davanti a un negozio di libri mi sento impotente, come un uomo che muore di fame a un metro dalla salvezza. Ma so molte cose; pago un uomo perché mi legga Livy, Prescott e Green e naturalmente Bacon... li conosco tutti. Invece scrivere non mi interessa. Non ho amici.

Se avesse parlato in tono di scusa oppure con aggressività, lei avrebbe saputo come classificarlo. Invece aveva parlato con naturalezza, come se si fossero trovati a discutere dei suoi capelli grigi, quasi come un fenomeno estraneo a lui.

Beryl era sbalordita. Probabilmente lui era tanto abituato a meravigliare la gente con questo suo atteggiamento, che non si rendeva conto dell’effetto prodotto.

Era così soddisfatto dell’incontro con la donna dei suoi sogni da non ricevere altre impressioni. I capelli di lei erano più chiari di quello che aveva pensato, il suo naso più sottile e i tratti delicati del suo viso più spirituali. Le labbra più rosse e più turgide, il mento meno deciso. E i suoi occhi... desiderò che lei voltasse il viso, per accertarsi del loro colore. Erano grandi, spalancati e così profondi da dargli una sensazione di languore. Anche la sua figura lo incantava; alta e graziosa. Un’aristocratica; la definì così. Orientale. Se l’era immaginata come una grande dama della corte di Costantino; l’aveva sognata su una terrazza di marmo di un’elegante villa sulle colline di Crisopoli; una donna di alto rango.

Lei non sospettava neppure come lui la considerasse. Non poteva sapere che la conosceva come il palmo della sua mano, che, giorno dopo giorno, la aspettava tra la folla, lui, trasandato e insignificante tra gli eleganti fannulloni, per avere la benedizione di vederla. Lei non lo aveva visto a Devon in primavera... ma lui era lì. Sdraiato sull’erba bagnata dalla pioggia di Tapper Downs per vederla passeggiare con suo padre; seduta a leggere sulla sabbia, tra le ginestre del pendio della collina, lei non aveva notato il suo guardiano.

– È curioso; stavo per dire “triste”. Ma voi non pensate che sia triste, vero, signor Sault?

Lui scosse la testa divertito.

– Sarebbe davvero irritante – disse – se io mi compiangessi. Non lo faccio mai. Metà dell’infelicità della terra deriva dall’inutilità dell’autocompatimento. È la causa di tutte le amarezze. Ve ne rendete conto? Non potete sentirvi amareggiata senza provare pietà per voi stessa.

Lei annuì.

– Avete perso molto ma... conoscete quella poesia... Suppongo che ve la siate fatta leggere.

Ambrose Sault rise piano.

– Certo... la poesia.

Oltre le tenebre che mi circondano

Nere come una voragine, da polo a polo.