Come accennavamo qualche giorno fa su queste pagine, chi frequenta il nostro sito e le nostre iniziative editoriali conoscerà senz'altro Luca Sartori. Si tratta di uno degli apocrifisti della nuova generazione tra i migliori in circolazione. Di recente ha lasciato i panni di apocrifista e traduttore per vestire quelli di saggista. Con Luca abbiamo fatto una lunga chiacchierata in merito al suo saggio Oltre il "sacro canone", edito da ARAS Edizioni.

In questo tuo saggio tracci una storia editoriale e i crossover tra generi e personaggi come per esempio Holmes con William Shakespeare, Jack the Ripper, Jekyll e Hyde, Arsenio Lupin, Sigmund Freud e altre figure storiche e della letteratura. Com'è nata l'idea di fondo e come si sviluppano le oltre 400 pagine che hai scritto?

L’idea di fondo è nata dalla mia tesi di laurea, che verteva appunto su quest’argomento. Ma una tesi non mi sembrava abbastanza, poiché per sua natura ha dei limiti di lunghezza, è destinata a un pubblico esclusivamente accademico e non è concepita per durare nel tempo. Avevo l’impressione che mancasse un saggio sul tema degli apocrifi a fronte di migliaia di pubblicazioni dedicate al Canone holmesiano, un qualcosa che mediasse tra la cultura accademica e quella più divulgativa-popolare, fermo restando un approccio “higher criticism”. Il mio testo è tripartito e va dal generale/teorico all’antologico/particolare. La prima parte è esclusivamente storico-teorica, incentrata sulle definizioni e alle problematiche scrittorie più specialistiche. La seconda parte è un tentativo di compendiare la storia dell’apocrifo dalle origini tardo vittoriane fino al secondo dopoguerra. La terza parte è a conti fatti una vera e propria “close reading” di cinque romanzi apocrifi di autori angloamericani che hanno goduto di un certo riscontro del pubblico. M’interessava mettere a confronto apocrifi di autori diversi per illustrare le diverse tecniche narrative che nel caso dell’apocrifo rappresentano quelle varianti grazie alle quali questo genere letterario si mantiene vivo e originale. Il fil rouge di tutto il saggio è comunque la grande attenzione ai testi. Il testo è sempre il punto di partenza, per quanto mi riguarda, sia che si parli di Canone sia che si parli di apocrifi. Infatti le citazioni testuali in lingua originale abbondano e costituiscono un corpus che ha anche la funzione di intertesto rispetto a ciò che ho scritto di mio pugno, e l’intertestualità, come ben sappiamo, è una caratteristica peculiare dell’apocrifo o pastiche che dir si voglia.  

Cosa si deve aspettare il lettore da questo saggio?

Credo che ogni lettore, quando comincia a immergersi in un qualsivoglia libro, si aspetti di trovarci qualcosa che lo affascini e che gli suggerisca delle cose che gli sono sempre girate in testa ma che non è mai riuscito a mettere a fuoco. Trattandosi di un saggio, è chiaro che lo scopo non è solo il mero intrattenimento come può invece accadere per un’opera di narrativa. L’ambizione di questo saggio è anche un po’ didattica, lo ammetto, ma senza dimenticare il vecchio adagio latino “ludendo docere”. Il fondamento di tutta la letteratura apocrifa, dopotutto, è appunto il “Grande Gioco”.

È un libro che consigli a tutti gli amanti del giallo, o per apprezzarlo a fondo è necessario avere una forte infarinatura del mondo holmesiano creato da Sir Arthur Cona Doyle?

Io lo consiglio a tutti gli amanti del giallo e della letteratura vittoriana ed edoardiana. Anche io lo sono, e ho scritto il libro pensando non solo alla pur vasta nicchia holmesiana, ma a un pubblico più ampio e variegato. Per questo, citando i vari titoli canonici, ho evitato di usare le abbreviazioni di quattro lettere inventate da Jay Finley Chirst: troppo specialistiche e non facilmente interpretabili dai meno tecnici. La Golden Age ha un ruolo importante anche nella letteratura holmesiana: basti pensare a John Dickson Carr, ad esempio, anch’egli autore di apocrifi. Gli incontri con altre grandi figure della letteratura tout court dimostrano che l’apocrifo non è un genere “chiuso” ma può, al contrario, interfacciarsi anche con gli altri generi. Certo, chi ha una grande familiarità con il mondo holmesiano parte avvantaggiato, diciamo, ma è altrettanto vero che chi non ce l’ha e conosce solo Sherlock Holmes e il suo mondo per sentito dire, potrebbe provare l’immenso piacere di scoprire cose nuove e inaspettate. Sarei felicissimo se chi non sa nulla sull’argomento acquisisse certe conoscenze dopo aver letto il mio saggio e, di conseguenza, si avvicinasse alla lettura del Canone e degli apocrifi e diventasse un cultore holmesiano nel senso più stretto della parola.

A quando risale la tua passione per il personaggio di Sherlock Holmes? 

Be’, come tutte le cose che durano nel tempo è un’infatuazione giovanile. Ricordo che un giorno mia madre mi regalò alcuni libri: Conan Doyle, Wilde, Poe, Thomas Mann. Ancor oggi sono gli autori che amo di più e ai quali ritorno spesso. Tra questi libri c’era “Uno studio in rosso”, che lessi avidamente. Da allora ho cercato di coltivare quest’infatuazione per farla diventare qualcosa di più concreto e produttivo.

Qual è il personaggio canonico da te più amato e quale avventura preferisci, tra le 60 di Sherlock Holmes pubblicate da Doyle?

Potrei apparire scontato, ma dico John H. Watson. Mi spiego meglio. È chiaro che il dottor Watson, in qualità di narratore del Canone – eccezion fatta per pochissime avventure – è il personaggio chiave, poiché tutti i fatti canonici che giungono a noi sono filtrati attraverso la sua narrazione soggettiva. Ma Watson, diversamente da Sherlock Holmes o James Moriarty, non è un superuomo dell’intellettualità né un astuto criminale che potrebbe far gola ai lettori vogliosi d’immedesimarsi nel cattivo fuorilegge che non possono essere nella vita reale. Watson è un uomo normale con una straordinaria carica di umanità, ed è proprio questo a renderlo estremamente interessante e “vivibile”. Dico vivibile perché chi scrive apocrifi, alla fin fine, diventa Watson e si sforza di pensare, agire ed emozionarsi come farebbe Watson.  E sarebbe assolutamente impossibile, per uno scrittore, diventare credibilmente un personaggio che non si vorrebbe essere.  Per quanto riguarda le mie avventure canoniche preferite, sceglierei “Il mastino dei Baskerville” tra i quattro romanzi e “Il rituale dei Musgrave” tra i racconti.

Cosa ne pensi della narrativa apocrifa, in particolar modo quella più attuale dedicata all'universo holmesiano?

Credo che la narrativa apocrifa, in particolar modo quella contemporanea, sia come un grande “field bazaar” che offre qualsiasi tipo di prodotto, dal più tradizionale al più stravagante. La qualità non sempre è all’altezza del Canone, ma ciò è dovuto al fatto che, inevitabilmente, un prodotto letterario che “tira” viene giustamente sfruttato al massimo e, come spesso accade, l’eccessiva quantità va a scapito della qualità. Il problema è che più si scrive e si pubblica più diventa difficile essere originali e non scadere nel plagio o in un’imitazione passiva. Certo, il problema dell’originalità appartiene a qualsiasi forma d’arte, ma nel caso di chi scrive apocrifi c’è una difficoltà in più: il partire da un soggetto non originale, ti obbliga, paradossalmente, a contorsioni stilistiche e trovate narrative che possano patinare d’originalità ciò che in effetti originale non è. Devo anche aggiungere che sono impressionato dall’attività degli apocrifisti italiani, i quali, a mio modo di vedere, non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi angloamericani e possono vantare una doppia sensibilità scrittoria: quella di un anglista e quella di un italofono, perché, non dimentichiamolo, gli apocrifisti italiani scrivono apocrifi in italiano, magari ambientati in Italia o con legami filologici con l’Italia, e va da sé che ci saranno sempre delle sfumature diverse o cangianti, magari appena percettibili, rispetto ai testi prodotti dagli autori di madrelingua inglese. Ma a volte, in special modo negli apocrifi più riusciti, ciò che può sembrare un handicap diventa motivo di grande e innovativa raffinatezza. Insomma, si fa di necessità virtù.

In questi anni sei passato dallo scrivere ottimi racconti apocrifi a tradurne altri di autori internazionali. Ora, da autore e traduttore di narrativa, arriva questo tuo nuovo passo come saggista. Quale ruolo pensi ti si addica meglio tra questi tre e perché?

Onestamente, me li sento bene addosso tutti e tre: sono un po’ come tre vestiti diversi che mi calzano egualmente bene. Io amo scrivere, dopotutto, e tutte e tre le cose implicano la scrittura, anche se su piani diversi. La narrativa è scrittura creativa, la traduzione è riscrittura, la saggistica è scrittura metodica. Confesso che mi affascina destreggiarmi tra queste tre maniere affini. Io nasco come scrittore, poi divento anche traduttore, e infine mi concedo una lunga escursione nella saggistica. Se proprio devo scegliere, però, penso di poter dare il meglio di me nella narrativa. 

Che progetti hai per il futuro in ambito editoriale?

Continuare a scrivere apocrifi e, se possibile, allargarmi al giallo classico in generale, magari con un personaggio tutto mio. Certo non mi dispiacerebbe ripetere l’esperienza di scrittura di un saggio che tratti argomenti affini al mio background culturale. Spero che avrò sempre il tempo e la forza per mantenere in vita tutte le idee che ho in testa e trasformarle in progetti letterari fruibili e di qualità.

Oltre il "sacro canone"

di Luca Sartori

Collana UrbiNoir-Studi

ARAS Edizioni

442 pp.

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formato 13x20, brossura filo refe

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euro 28,00

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anno 2016

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ISBN 9788898615919

L'autore

Luca Sartori
Luca Sartori

Luca Sartori, laureato in Lingue e Culture Straniere presso l’Università degli Studi di Urbino, ha frequentato un master in traduzione editoriale presso l’agenzia formativa Tuttoeuropa di Torino. Da sempre appassionato di letteratura poliziesca, specialmente vittoriana e edoardiana, ha una particolare predilezione per le opere di Arthur Conan Doyle ed è membro dell’associazione italiana USIH (Uno Studio in Holmes) e della John Watson Society americana, per la quale ha scritto e pubblicato il romanzo The Adventure of the Duke’s Study (2014). È autore de Il garofano blu, biografia su Lord Alfred Douglas (Simonelli 1999), e per Delos Digital di cinque e-books: L’ultimo preraffaellita (2013), Il cane e l’anatra (2014), Il labirinto della solitudine (2014), L’avventura dei candelabri provenzali (2015) e Lo studiolo del duca (2015). Ha inoltre tradotto numerosi saggi, racconti, e l’apocrifo sherlockiano I delitti di Mayfair di David Britland (pubblicato prima da Delos Books e successivamente da Mondadori nel 2015).