Piano dell’opera:

Delitti incrociati

1)   Un cadavere ad Ampugnano.

2)   Giulia, Silvestri ed i giocatori di scacchi.

3)   Prime scoperte.

4)   Il secondo ed il terzo delitto.

5)   Dal dottore.

6)   Tempi duri.

7)   A pesca!

8)   Il sergente dai capelli rossi.

9)   Cellule grigie al lavoro.

10)  La dea bendata.

11)  Un adorabile vecchietto.

12)  Epilogo.

 

Delitti incrociati

Un cadavere ad Ampugnano

 

Quando si ha novanta anni e un piede e tre quarti nella tomba non si tengono peli sulla lingua. Da giovani si sta più attenti a esprimere le nostre idee, a formulare certi giudizi, si hanno certi timori, certe remore che tendono a scomparire con l’età. Ho deciso di dire tutto, ma proprio tutto su quegli stramaledetti casi che mi sono capitati precisamente…precisamente…tanti anni fa e sulle persone che in essi furono coinvolte. L’anno preciso non lo ricordo, non ricordo nemmeno se in questo momento siamo nel duemila venti o trenta, ma ho bene in mente che era un’estate bestiale, un caldo da far paura agli africani. Nonostante tutto nessuno si sarebbe immaginato la caterva di morti piombata in rapida successione nella mia città e nelle sue vicinanze. Senza che c’entrasse un fico secco il solleone che, a dir la verità, mandò all’altro mondo un buon numero di vecchietti del nostro paese. Vi racconto quello che mi è successo, così, secondo i ricordi che si affollano nella mia mente, senza far tanto caso alla cronologia né ad un filo logico preciso, che tanto a questa età non ne sarei capace. La mia città è Siena ed io ne ero, allora, il suo commissario di polizia. Marco Tanzini, per essere più precisi, se la memoria non mi inganna…La memoria è una brutta bestia, ti fa fare delle figure cacine soprattutto coi figli e coi nipoti. Per fortuna, o per sfortuna, io non ho moglie, né figli, né nipoti e quindi le figure le faccio solo con me stesso. E riesco anche a prendermi in giro. Però gli avvenimenti di quella rovente estate sono qui nella mia testa. Almeno mi sembra. Tutto cominciò…cominciò con una telefonata nel mio ufficio, mentre ero intento a sbrigare le solite pratiche burocratiche che incitavano allo sbadiglio.

“Pronto, commissà, pronto…”

“Pronto, chi fu?”. Mi piace scherzare, è uno dei miei pochi lati positivi. Avevo riconosciuto dal taglio del sostantivo e dal timbro di voce l’appuntato Esposito Scarchili di pura, anzi purissima razza siciliana. Un giovane sveglio ma refrattario alla lingua patria.

“Sogno…”

“O son desto?”.

“Non mi sfotta, commissà. Cà simo in uno brutto affare…”

“Che ti è successo, ti ha lasciato la fidanzata?”

“No…no…non ci sta da scherzare. Io e Lorenzo…”

“Il Betti?”.

“Sì, sì, io e Lorenzo eravamo di pattuglia, quando…”

“Non me la fare lunga Esposito”.

“Le passo il Betti, lui è più…è più…”.

“Passamelo”.

“Commissario, siamo qui in un bosco vicino all’aereoporto di Ampugnano. C’è una ragazza morta, e a me mi pare assassinata”.

“Accidenti!”.

Una esclamazione che voleva dire due cose: un accidenti per la fine della povera ragazza e uno per le ferie che se ne andavano a farsi fottere. In ogni fatto umano c’è sempre qualcosa di umano, appunto, e qualcosa di egoistico che fa sempre capolino. Alla vista del cadavere rimase il primo e se ne volò via il secondo. La ragazza era veramente una bella ragazza sui venti anni, dai capelli scuri e dal corpo ben proporzionato, tutta distesa sull’erba come se dormisse. Nulla lasciava trapelare il suo tragico destino, se non una riga bluastra intorno al collo. Per il resto aveva una espressione quasi serena. Le braccia erano ripiegate accuratamente sul petto, la mano destra aperta e l’altra chiusa.

“Allora Betti, raccontami questa scoperta”.

“Niente, commissario, eravamo di pattuglia da queste parti quando a Esposito scappa un bisognino. Ci fermiamo sulla strada e lui prende questo viottolo che porta nel bosco. Io aspetto un po’ quando lui mi ritorna di corsa con il viso sbiancato da far paura. Che fai, gli dico, hai visto uno con la lupara? E lui senza rispondere mi prende per un braccio e mi porta qui. Sembrava dormire, ma poi mi sono avvicinato, ho visto il collo e…”.

“Che ne pensi, Manganelli?”. Manganelli è stato il mio braccio destro per molti anni, un tipo più o meno sveglio, voglio dire che ora ci dava e ora non ci dava, con il quale mi piaceva scherzare e con il quale ho avuto anche qualche battibecco, sempre, però, con reciproco rispetto. Tra l’altro lui accettava che gli dessi del tu, mentre a me ha dato sempre del lei. Con il passare del tempo aveva messo su una bella pancetta che spesso cercava di nascondere trattenendo il respiro, soprattutto quando era in presenza di una bella figliola, il che causava un rossore sempre più acceso alle guance. Era nello stesso tempo buffo e simpatico di natura.