No Ghosts Need Apply. Gothic Influences in Criminal Sciences, the Detective and Doyle’s Holmesian Canon, Camilla Del Grazia, Edward Everett Root Publishers, Brighton, 2020.

Era una notte buia e tempestosa… Chi, anche tra i meno avvezzi alle letture di un certo tipo, non ha mai sentito almeno una volta questa frase ormai diventata un meme, se non altro grazie al bracchetto-filosofo Snoopy che ne fa un eterno incipit per i suoi racconti? Ebbene, questa frase è anche un incipit strictu sensu: “It was a dark and stormy night” sono le parole con cui inizia Paul Clifford, romanzo del britannico Bulwer-Lytton il cui leitmotiv è incentrato sulla doppia vita da gentiluomo e criminale dell’omonimo protagonista, un Vidocq che ha attraversato la Manica, e le cui vicissitudini avventurose afferiscono alla nutrita schiera di quei “Sensation novels” vittoriani che raggiungeranno l’apogeo letterario negli anni 1860-70 grazie ad autori come Charles Dickens, Wilkie Collins e Mary Elizabeth Braddon.

Ma la notte buia e tempestosa è anche e soprattutto un’immagine simbolica associata al Romanzo gotico, genere in auge dall’ultimo quarto del Settecento fino al primo dell’Ottocento, nato dalla sensibilità del Romanticismo epico imbevuto dei poemi ossianici e della teoria sul Sublime che reagiva al rigore dell’Illuminismo e morto, almeno all’apparenza, con l’affermazione della rivoluzione industriale che svuotò le campagne e creò masse di lavoratori cittadini la cui obbligata prosaicità era lontanissima da fitte foreste e castelli diroccati. Tuttavia, come ho già accennato, il Romanzo gotico è morto solo all’apparenza: è un morto-non morto, un revenant, un vampiro fin-de-siécle alla Dracula che ha saputo trasformarsi e adattarsi ai tempi nuovi, tempi di scoperte scientifiche, delle teorie geologiche di Lyell e di quelle evoluzionistiche anti-creazioniste di Chambers e Darwin, di nuove invenzioni (locomotiva a vapore, telegrafo, macchina da scrivere, lampadina a incandescenza) che rendevano le vecchie superstizioni un orpello obsoleto. Il Romanzo gotico agreste si è mutato nel Sensation novel urbano, i cui elementi sono confluiti nella neonata Detective story con la sostanziale differenza che da Auguste Dupin in poi cambia la dominante narrativa: i riflettori sono sempre meno puntati sul criminale romantico e le sue gesta da Newgate Calendar, e sempre più sul detective e la sua indagine logico-deduttiva.

Ed è proprio questo percorso filogenetico che costituisce il fil rouge del saggio di Camilla del Grazia il cui punto d’approdo è la rintracciabilità di elementi “Gothic Fiction” nei 56 racconti e 4 romanzi brevi del Canone Holmesiano; elementi, naturalmente, trasformati e reinterpretati alla luce della sensibilità, delle ansie e delle problematiche dei lettori del tardo Ottocento in un impero, quello britannico, che abbracciava mezzo mondo, e con esso scenari poco o per nulla familiari per chi non era mai uscito dalla Gran Bretagna. L’opera di Del Grazia, pur con qualche imprecisione (dovuta forse a un editing poco attento) che non sfuggirà ai segugi più abili, si snoda lungo cinque capitoli, ciascuno dei quali è focalizzato su un tema o stazione della linea ferroviaria immaginaria che dal Romanzo gotico tardo-settecentesco porta fino al salotto al 221B di Baker Street, Londra, passando per il Sensation Novel, i tentativi razionalizzanti e in qualche modo rassicuranti della moderna criminologia e la tutt’altro che rassicurante decostruzione del conformismo ipocrita tipico dell’epoca vittoriana.  

Il punto di partenza, abbiamo detto, sono gli stilemi del Romanzo gotico: fatti criminali e/o misteriosi, ambientazioni medievaleggianti o esotiche, atmosfere tetre, violenza psicologica, la fanciulla-eroina perseguitata da un aguzzino, presenza del soprannaturale e del grottesco, incubi regressivi che si agitano sotto la patina di apparente civiltà, sovrapposizione liminale tra eroe e antieroe, tipi letterari facilmente categorizzabili. Come e dove si ritrova tutto questo nel Canone Holmesiano? Camilla Del Grazia ce lo illustra in maniera ordinata attraverso numerosi esempi testuali molto ben argomentati. Vediamo di proporne sinteticamente qualcuno.

Va da sé che tutte la avventure di Holmes e Watson presentano fatti criminali e misteriosi (non necessariamente un omicidio), anche se l’accento non viene tanto posto sul “murder for its own sake”, come avveniva nel Sensation novel, e che secondo Holmes è “commonplace”, quanto piuttosto sull’indagine che il detective assistito dal fidus Achates intraprende e porta (quasi) sempre a buon fine; se per De Quincey era il delitto ad essere una delle belle arti, nel Canone di Doyle l’unica vera arte è quella dell’investigazione. Ma è proprio la figura del consulting detective Sherlock Holmes a far emergere il neogotico sommerso sotto la superficie del razionale. Uno dei falsi miti su Sherlock Holmes, infatti, è quello che lo bolla come una “macchina pensante” esclusivamente votata alla scienza della deduzione. Holmes può in effetti apparire come tale quando si occupa di un caso, ma questa sua corazza intellettuale, oltre ad essere indispensabile per risolvere il caso, gli serve anche per proteggersi da pulsioni emotive che lo renderebbero più fragile e quindi apertamente più vulnerabile agli occhi dei criminali che combatte.

Il rapporto tra detective e villain, nel Canone, non è sempre del tipo lineare-manicheo: pur essendo un fine elucubratore, Holmes non è uno statico armchair detective alla Dupin, ma agisce, si prende responsabilità e frequenta i bassifondi di Londra; si serve di un gruppo di monelli di strada (gli Irregolari) per raccogliere informazioni; in ABBE non consegna alla polizia un colpevole; in LAST, ultima avventura del Canone ambientata all’alba della Grande Guerra, Watson ci dice che ha trascorso un po’ di tempo tra i malviventi di Chicago. Tale ambiguità emerge in particolar modo nel dualismo con il villain per eccellenza del Canone, benché presente solo in tre storie (FINA, EMPT e VALL): il Professor James Moriarty. Se Moriarty è la nemesi di Holmes, ne rappresenta in maniera perturbante il doppio in negativo; al di là della somiglianza fisica tra i due, e del fatto che siano entrambi scapoli ed esteti, c’è una somiglianza intellettuale: entrambi sono dotati di un’intelligenza straordinaria e geniale; sono, per dirla con lo stesso Holmes, “due grandi menti che pensano allo stesso modo”, ma mentre Moriarty è un “misapplied genius”, ossia un genio al servizio del Male, Holmes è un “alienated genius”, ossia quel tipo di genio lombrosiano che pur facendo del Bene si trova spesso a passeggiare sul limitare della psicosi ed è malinconicamente solo, Watson a parte. L’inquietante motivo del Doppelgänger fin-de-siècle, ben esplorato in opere come The Picture of Dorian Gray e The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, viene portato alle estreme conseguenze in un celebre apocrifo di Michael Dibdin, The Last Sherlock Holmes Story, in cui s’immagina che Moriarty sia una mera invenzione criminale di Holmes, il quale altri non è che il famigerato Jack lo Squartatore. Se, guardando al passato, ritroviamo l’intima regressione gotica, possiamo anche dire che il personaggio di Holmes, con le sue contraddizioni e qualche vizio privato, precorre l’eroe tormentato dell’hard-boiled che si affermerà dagli anni ’30 del Novecento.   

La congruenza fisico-intellettuale tra Holmes e Moriarty offre inoltre lo spunto per introdurre il tema del grottesco e della regressione atavica a confronto con la moderna criminologia. In termini extradiegetici, sappiamo bene quanto il Canone di Doyle abbia contribuito alla formazione della scienza criminologica dell’epoca. Se entriamo nella finzione letteraria – che, sia chiaro, per i cultori del “Grande Gioco” è una realtà –  scopriamo che Sherlock Holmes è autore di svariate monografie a tema criminologico. In HOUN, certamente la più gotica e soprannaturale tra le avventure del Canone, troviamo l’emblematica sintesi tra regressione atavica e scienza: il segugio molossoide – ebbene sì, non è un mastino, ma un segugio – non è una creatura diabolica, non è un demone dell’Aldilà, ma un grosso cane incattivito ad hoc dal villain, il naturalista Jack Stapleton alias Roger Baskerville Jr., che si serve di un ritrovato chimico (unguento al fosforo) in maniera antiscientifica e regressiva allo scopo di alimentare e rendere concreta una vecchia leggenda dei tempi bui.

Il cane dei Baskerville, indiscusso protagonista nel bestiario del Canone, offre a sua volta lo spunto per introdurre il tema gotico del grottesco rielaborato nelle tante metafore animalesche disseminate nelle avventure Holmesiane che Del Grazia suddivide in due grandi categorie: il tipo scimmiesco (ape-like) e il predatore, rapace, rettile o felino. Fanno parte della prima categoria, ad esempio, Jonathan Small e Tonga (SIGN), James Oldacre (NORW), il boss mafioso Gorgiano (REDC). Nella categoria predatoria troviamo gli stessi Sherlock Holmes, paragonato a un uccello rapace (hawkish) e James Moriarty, che è un viscido rettile (reptilian); a questo punto non saprei dove collocare l’ispettore Lestrade, con la sua faccia da furetto. In CREE il professor Presbury che cammina carponi, o a quattro zampe, simboleggia la regressione a uno stato animale e per certi versi ricorda Dracula che striscia sulle pareti del suo castello come un ragno. Troviamo riferimenti alla fisiognomica e alla frenologia in SPEC e COPP. L’identificazione animale-personalità di stampo lombrosiano viene estesa anche alle ambientazioni più tetre e squisitamente gotiche di alcune storie. L’idea di fondo prevede un’identificazione tra dimora e dimoranti: lo stato di abbandono e decadenza degli edifici si riflette nel declino morale di chi li abita, alla maniera Usher di Poe. Udolpho si trasforma in uno dei tanti manieri isolati in varie regioni della campagna inglese. Ce ne sono di tutti gli stili e le epoche: li ritroviamo in SOLI, BOSC, NORW, COPP, DEVI, THOR; i più celebri sono senz’altro Stoke Moran, la tenuta dove vive il perfido dottor Roylott in SPEC, il maniero plantageneto di Hurlstone, dimora secolare dei Musgrave (MUSG) e, ovviamente, Baskerville Hall in HOUN, una costruzione ostinatamente antica e vanamente moderna circondata dalla brughiera brulla e paludosa dove si avverte nell’aria lo spirito primitivo e ancestrale dei tempi che furono; lo stesso Holmes, non a caso, si cala in questo spirito andando a soggiornare in incognito per un po’ in una capanna nei pressi di un insediamento preistorico.

Un altro leitmotiv del Romanzo gotico, abbiam detto, è l’esotismo che genera perturbamento. Luoghi e personaggi sono spesso e volentieri legati a mondi lontani e mediterranei, irraggiungibili, quasi fantastici, se non altro per i lettori britannici dell’epoca. Il castello di Horace Walpole è a Otranto, Udolpho nel Sud della Francia; Ann Radcliffe ambienta nell’Italia meridionale (Napoli) The Italian, or the Confessional of the Black Penitents, e A Sicilian Romance; con The Monk di Matthew Gregory Lewis siamo in Spagna; Vathek di William Beckford si spinge oltre, fino ai califfati arabi delle Mille e una notte. Nel Canone Holmesiano l’esotismo gotico-fantastico si muta in esotismo coloniale geograficamente più realista ma non per questo meno perturbante. Non parliamo di veri e propri “set” all’estero, poiché le uniche due avventure canoniche che varcano fisicamente i confini di Albione sono FINA e EMPT, vale a dire quelle della (presunta) morte e risurrezione di Sherlock Holmes. Di contro, invece, abbiamo molti riferimenti a casi di cui Holmes si è occupato in altri paesi che però Watson non ha ancora messo per iscritto o pubblicato e i cui appunti disordinati, con ogni probabilità, giacciono nel baule custodito nei sotterranei della banca Cox & Co. a Charing Cross.

L’esotismo del Canone è un esotismo riflesso; non è trovarsi in un “altrove” rispetto a dove si vive, ma ritrovare ciò che è “altro” e viene da lontano nei luoghi apparentemente sicuri e tranquilli della Gran Bretagna. “Stranger” in inglese vuol dire sia “straniero” che “estraneo”, e assomiglia a “strange”, ossia “strano”. Ciò che è straniero è dunque estraneo, ed è anche strano; e ciò che è o ci appare strano, ciò che non capiamo, può rappresentare una minaccia. Vediamo alcuni degli esempi presi in esame da Del Grazia. Cominciamo con gli antefatti svoltisi altrove che determinano un crimine nel presente britannico: i Mormoni dello Utah e i contrasti tra Jefferson Hope e il duo Drebber/Stangerson (STUD); il grande ammutinamento del 1857 in India, il saccheggio del tesoro di Agra e i “Quattro”, tre dei quali sono indiani (SIGN); le infamità degli “Scowrers” di Vermissa, valle statunitense ispirata alla valle mineraria di Shenandoah in Pennsylvania (VALL). Passiamo al villain straniero: il falsario Fritz (ENGR), le spie Hugo Oberstein (BRUC) e Von Bork (LAST) sono tedeschi; il barone Gruner (ILLU) è austriaco; il ricattatore Lucas alias Fournaye (SECO) è franco-spagnolo; Dolores, la donna creduta un vampiro in SUSS, è peruviana; e poi, come dimenticare gli italiani: il mafioso Gorgiano (REDC) e l’avanzo di galera Beppo (SIXN). Infine, last but not least, ci sono i villain sudditi britannici che hanno vissuto nelle colonie: il colonnello Sebastian Moran, braccio destro di Moriarty; il dottor Roylott (SPEC), la cui regressione atavica è simboleggiata dal ghepardo e dal babbuino che tiene in giardino; John “Cooee” Turner, arricchitosi in Australia (BOSC); Mary Fraser di Adelaide (ABBE) e gli antefatti nella colonia penale australiana in GLOR.

La minaccia “without” (dall’esterno) non arriva solo dalle persone, ma anche da oggetti e/o cose che provengono dalle colonie: la “fascia maculata”, ovvero una velenosissima vipera indiana di cui si serve Roylott in SPEC; il leone di un circo che sfigura il volto di una donna (VEIL); il dardo avvelenato sparato dalla cerbottana di Tonga (SIGN); la febbre di Tapanuli, misteriosa malattia tropicale dalla quale Holmes finge di essere affetto in DYIN; l’immaginario “piede del diavolo”, radice allucinogena e letale portata dall’Africa dall’esploratore Sterndale. In YELL la “faccia gialla”, che rimanda a somatiche dell’Estremo Oriente, altro non è che una maschera di colore giallo che deve coprire il volto della bambina nata da una relazione tra una donna bianca inglese e un afroamericano. La minaccia esterna può anche venire da organizzazioni/associazioni extrabritanniche: i Mormoni (STUD), una loggia massonica statunitense (VALL), il Ku-Klux Klan (FIVE), la mafia italo-americana (REDC), i nichilisti russi (GOLD), le spie di potenze rivali (LAST, NAVA, BRUC, SECO). Watson, con il beneplacito dell’agente letterario Doyle, ha rielaborato in chiave detective story l’ “imperialist frame of mind” di Kipling: il detective è anche lo scudo che protegge la madrepatria civilizzata da eventuali attacchi provenienti dal mondo esterno ma inglobato delle colonie selvagge.

Ma, come da miglior tradizione del Romanzo gotico, la minaccia non è solo “without”, ma anche “within”, dall’interno. Il topos della fanciulla in pericolo o perseguitata da un villain di famiglia trova terreno fertile nell’apparente quiete domestica delle “households” vittoriane e maschiliste dove la donna, spesso e volentieri, subiva violenze psicologiche e passava dal controllo del padre a quello del marito, anche e soprattutto per quanto concerneva un eventuale patrimonio. Emblematica, in tal senso, è la poesia My Last Duchess di Browning. Due avventure del Canone, in particolare, ripropongono questo tipo di scenario: COPP e SPEC. In COPP c’è un fratellastro, Rucastle, che tiene rinchiusa la sorellastra Alice in una stanza buia perché non si fidanzi con nessuno, così da preservarne la dote; in SPEC il dottor Roylott tenta di uccidere la figliastra, Helen Stoner, per impossessarsi dei soldi avuti in eredità dalla madre. Numerosi sono i racconti dove la donna è al centro di un intrigo legato a un contrasto, all’adulterio o alla bigamia: la bella Lucy Ferrier, il “Fiore dello Utah”, è il pomo della discordia in STUD; Mary Sutherland, ingannata dal cacciatore di dote Hosmer Angel alias James Windibank (IDEN); Hatty Doran, sposata a Frank Moulton, creduto morto, e poi risposata illegittimamente con Lord St. Simon (NOBL); Mary Fraser, corteggiata da Jack Crocker e moglie di Sir Eustace Brackenstall, ucciso da Crocker perché la maltrattava (ABBE); Eugenia Rounder, “l’inquilina velata” sfigurata da un leone che era stata complice dell’omicidio del marito violento assieme all’amante (VEIL); Mrs. Hayes, donna mite e sottomessa al burbero marito Reuben (PRIO); Mrs. Amberly, che ha sposato un uomo cattivo e di vent’anni più vecchio di lei e verrà da questi asfissiata in una camera a gas assieme al giovanotto che il marito crede essere il suo amante (RETI); e ovviamente non può mancare Irene Adler, the Woman, o meglio la New Woman che ammalia il re di Boemia in un “affair” adulterino (SCAN).

Se è vero che l’eroina del Romanzo gotico perseguitata o in pericolo è una vittima predestinata e rassegnata a una certa sorte, è altrettanto vero che questa tipologia mutata di figura femminile nel Canone non è così inerme, ma reagisce: in alcuni casi si salva, in altri no, ma non rinuncia comunque a lottare. Del Grazia individua tre grandi categorie di eroina gotico-vittoriana: la donna angelicata, la donna-demone e la vecchia zitella. Nel Canone Holmesiano, queste tre categorie diventano: l’angelo domestico, l’avventuriera o “fallen woman” (futura femme fatal nel cinema noir), la nubile/governante. Alla prima categoria appartengono di diritto Mary Morstan, bionda ed eterea come una Madonna rinascimentale, moglie fedele e devota del dottor John Watson, e Violet de Merville (ILLU), che affascina Watson a tal punto da far ritenere che sia proprio lei la seconda moglie del dottore dopo la prematura dipartita di Mary. Alla seconda categoria possiamo ascrivere: Irene Adler, avventuriera per eccellenza che morirà qualche tempo dopo aver sconfitto il grande Sherlock Holmes; Isadora Klein, prostituta del barone Gruner ed equivalente tardovittoriano di Lady Audley che si oppone al tipo angelico Violet de Merville (ILLU); un’anonima nobildonna che uccide Charles Augustus Milverton per vendicarsi di chi aveva mandato sul lastrico il marito (MILV). La terza categoria non può che aprirsi con Mrs Hudson, padrona di casa di Holmes e Watson, e continuare con donne non più nel fiore degli anni destinate a morire o a una vita triste: Lady Frances Carfax (CARF); Brenda Tregennis (DEVI); Lady Beatrice (SHOS); Grace Dunbar (THOR). A queste signore possiamo aggiungere due figure femminili a metà strada tra l’angelo e la nubile: Violet Hunter (COPP) e Violet Smith (SOLI), non a caso omonime ed entrambe dinamiche, sveglie e indipendenti.

Così si conclude il viaggio filologico del saggio di Camilla Del Grazia, il cui titolo, No Ghosts Need Apply, è quanto mai azzeccato: non c’è bisogno di chiamare in causa fantasmi incatenati e avvolti in un lenzuolo che vagano per i corridoi di castelli marcescenti per ricreare atmosfere gotiche e fantasmagoriche, rendendole così attuali per i lettori di una data epoca, tra le quali c’è sicuramente anche la nostra. Se Doyle è riuscito indiscutibilmente a traslare nel suo tempo diversi elementi gotici fino al 1927, è altrettanto fuori discussione che il personaggio di Sherlock Holmes e tutto il mondo che gli ruota attorno è più che mai attuale e contemporaneo, visto l’enorme volume di trasposizioni apocrife, molte delle quali lo collocano nel terzo millennio. Lo stesso vale per il Romanzo gotico: basta pensare alla proliferazione editoriale e televisiva del vampiro, creatura letteraria squisitamente gotica che ormai può tranquillamente vivere da non-morto anche ai giorni nostri. La notte buia e tempestosa può forse apparire anacronistica in un mondo ipertecnologico e sempre connesso, ma forse non lo è poi tanto se pensiamo a quella che non finisce mai dentro di noi.

Luca Sartori